Il citomegalovirus è un virus appartenente alla famiglia degli herpesvirus che, se contratto per la prima volta in gravidanza, diviene un vero nemico per la mamma e il bambino. Questo virus si insinua nell’organismo con sintomi poco evidenti o riconoscibili, ma rischia di compromettere seriamente la salute del piccolo nel pancione.
Il citomegalovirus provoca un’infezione dai sintomi molto generici, come lieve febbre, infezione delle alte vie respiratorie, stanchezza, tanto che spesso non ci si accorge nemmeno di averla contratta. Se però la donna contrae per la prima volta il virus in gravidanza, c’è il rischio che anche il bebè venga contagiato. Il rischio è pari al 10% circa, ma solo 2-3 feti su 10 che hanno contratto il virus potranno riportare conseguenze.
Le conseguenze per il feto però possono essere piuttosto serie: possono riguardare il sistema nervoso centrale, con malformazioni visibili ecograficamente, oppure provocare ritardo mentale, sordità congenita, corioretinite (una patologia della retina che provoca cecità), che però non sono diagnosticabili in utero e delle quali ci si accorge solo dopo la nascita del piccolo. Ridurre i rischi per il nascituro significa, soprattutto, evitare il contagio e diagnosticare la presenza del virus nell’organismo materno tempestivamente.
Allo scopo, è fondamentale che la futura mamma si sottoponga con regolarità, almeno una volta al mese, al test, un semplice esame del sangue, per rilevare la presenza del citomegalovirus. L’amniocentesi permette poi di stabilire se il virus ha già contagiato anche il feto. Ma se si smaschera il virus nell’organismo della futura mamma, per prevenire la pericolosa trasmissione al piccolo, si possono somministrare immunoglobuline per via endovenosa, con una frequenza mensile, allo scopo di fornire all’organismo materno gli anticorpi necessari a contrastare il virus e a impedirne il passaggio al feto.