La sindrome da fatica cronica è stata riconosciuta ufficialmente e classificata tra le patologie neurologiche solo nel 1994. Fino a quel momento chi ne soffriva era considerato semplicemente un pigro ed ancora adesso, purtroppo, sono pochi i medici in grado di diagnosticarla correttamente dando il giusto peso ai sintomi del paziente.
Oltre alla fatica cronica per sei mesi consecutivi, il soggetto affetto presenta almeno quattro tra i seguenti sintomi: difficoltà di concentrazione, linfonodi cervicali ed ascellari dolenti, sonno disturbato e non ristoratore, dolori muscolari ed articolari non giustificati da altra eziologia, cefalea, ed astenia da esercizio fisico protratta per più di 24h.
Questa sindrome colpisce in egual misura uomini e donne, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 30 ed i 50 anni. L’eziologia attualmente è ancora sconosciuta ma l’ipotesi più accreditata è che ci sia una concomitanza di fattori genetici ed ambientali.
La malattia oltre ad essere molto debilitante dal punto di vista fisico, lo è anche da quello psicologico. Chi ne è affetto, inevitabilmente, non riesce più a condurre la vita che conduceva prima di ammalarsi, e questo può dare pesanti conseguenze nel campo lavorativo e sociale. Inoltre il paziente, nella migliore delle ipotesi, non riceve una diagnosi esatta per mesi. Un periodo di tempo che può risultare estremamente stressante: il soggetto si sente incompreso e percepisce il pregiudizio degli altri, che non lo credono realmente malato ma solo molto pigro. Ciò può portare all’isolamento, l’apatia e persino la depressione.
Attualmente non esiste ancora una cura ma molti soggetti sembrano rispondere positivamente alla somministrazione di antidolorifici ed immunomodulatori. Comunque tutti i malati avvertono un lieve miglioramento dal momento stesso della diagnosi, quando per lo meno tende ad alleviarsi il peso psicologico, e l’inconsio senso di colpa e inadeguatezza.
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