La tanoressia è una patologia ancora non ufficialmente riconosciuta. Un male moderno in bilico tra la vera e propria dipendenza psicologica, figlia dell’insicurezza, e la superficiale ossessione per l’apparenza, tipica della nostra epoca.
Il termine deriva da tan, abbronzatura in inglese, ed orexis, appetito in greco, e sta ad indicare il bisogno compulsivo di esporsi al sole ed abbronzarsi. Come l’anoressico non si vede mai abbastanza magro, così il tanoressico non si vede mai abbastanza abbronzato.
Per secoli la tintarella è stata una caratteristica peculiare delle classi sociali non elevate, bruciate dal sole perché costrette a lavori umili all’aperto. Ma negli ultimi decenni avere un incarnato scuro è diventato uno status symbol, sinonimo di vacanze e bella vita. La tanoressia può essere considerata una sorta di aberrazione di questa nuova moda.
Il sole, oltre a scurire la pelle, ha riconosciuti effetti benefici sull’umore e quindi alcuni studiosi ritengono che le persone che soffrono di questa dipendenza ricerchino soprattutto un benessere psicologico, una serenità evidentemente mancante. Ma questa teoria non spiega perché i medesimi soggetti amino utilizzare anche i lettini abbronzanti che scuriscono la pelle ma di certo non migliorano l’umore.
L’esposizione misurata ai raggi solari agisce positivamente sull’organismo, in particolare su ossa e cute, mentre quella eccessiva, oltre a provocare l’invecchiamento precoce della pelle, rischia di causare pericolose neoplasie, prima fra tutte il melanoma. Quindi la tanoressia non deve essere considerata solo un signolare disturbo, una ridicola esagerazione figlia dei nostri tempi, ma deve essere presa sul serio e combattuta per poter scongiurarne le conseguenze più gravi.
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