Non saranno contente le stacanoviste del risultato di uno degli ultimi studi condotti sul lavoro in gravidanza. I ricercatori dell’Università dell’Essex (GB), coordinati da Marco Francesconi, Emilia Del Bono e John Ermish, hanno effettuato una ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Labour Economy.
Lo studio ha esaminato 4.680 donne in gravidanza, valutando il tipo di professione, gli sforzi, le posture, il tempo, e con la risonanza le dimensioni della testa dei nascituri. Da questa vasta mole di dati, è emerso che i bambini nati da mamme lavoratrici, che abbiano cioè continuato a svolgere la propria professione anche dopo l’ottavo mese, avevano un peso alla nascita inferiore alla media.
Nello specifico è emerso che le donne che hanno lavorato più di 40 ore a settimana hanno avuto bambini più piccoli rispetto a quelle che hanno lavorato meno di 25 ore settimanali, una sorta di limite oltre il quale pare esserci un’accelerazione del fenomeno. I bambini nati dalle lavoratrici indefesse pesavano tra i 150 e 200 grammi di meno.
Gli effetti negativi del lavoro materno sullo sviluppo del feto secondo lo studio inglese variano sia in base all’attività svolta (se ti tipo più mentale o fisico), che in base all’età della donna. Una mamma “attempata” e lavoratrice rischia molto di più di dare alla luce un bebè piccolo. Eppure sappiamo che lavorare fino alla 36esima settimana di gravidanza non dà alcun problema al feto, tranne in casi specifici. Quindi la questione è cosa succede dopo: secondo gli esperti, questa ricerca suggerisce soltanto di sentire il proprio medico, l’ostetrica, e capire quali possono essere le conseguenze per il parto.